Ma assistere è veramente un interesse di questa società? Di Elio Drigo
Non si intende qui parlare di singole persone, interpellate direttamente sull’argomento o richieste di un parere teorico. La risposta, a parte qualche frangia cinica,, sarebbe positiva.
Ma per essere concreti, si deve guardare all’insieme delle persone, la società, ed alle sue regole di convivenza applicate.
Nessuna persona esiste da sola. Le forme della convivenza sono il risultato degli interessi reali delle persone che si confrontano
e decidono. Se noi infermieri guardiamo i fatti, sembra di percepire una sopportazione di questa società verso l’assistenza. Al di là del numero assoluto di infermieri assunto dalle strutture, delle notevoli
risorse, dei materiali ed attrezzature per l’assistenza, della struttura organizzativa con questa finalità, ecc… la nostra sensazione
finale è che, comunque, l’assistere sia nei fatti considerato un complemento relativamente secondario di un sistema che si autoalimenta. Un qualcosa, l’assistenza, che non si può non provvedere, visto che alle persone si deve badare quando si fa sanità e una forma di supporto a coloro che hanno problemi di salute si deve pur garantire... Una sorta quasi di fastidio da gestire.
L’importante, il celebrato, il preteso da tutti è l’ultima diagnostica, le tecnologie più avanzate, l’ultimo farmaco miracoloso,
il massimo sempre e subito insomma.
Certo, l’informazione pubblica su questi temi non aiuta, anzi, induce disinformazione ed illusioni. Né viene in soccorso il modello di società indicato in modo martellante con tutti i mezzi ed in tutte le
forme. L’ideale promosso è l’individualismo mentre la solidarietà è indirizzata agli idealisti illusi. L’assistere, di sua natura non fa parte del pensiero dominante, qui da noi. Logico che l’assistenza diventi un marginale complemento ad altro. Anche quando,
raramente, si riesce ad interloquire con chi dovrebbe comprendere che cosa concretamente è oggi assistere (perché vede tutti i giorni l’assistere e ne sfrutta i risultati in prima persona) il discorso in
breve si concentra altrove o semplicemente cade. Solitari illuminati si rendono conto e sono disponibili. Isole.
Esperienza quotidiana di tristi ma realistiche constatazioni, purtroppo. Assistere, “prendersi cura” è il riferimento degli infermieri. Non una serie di interventi (tra l’altro, sempre più sterminati) in base a procedure o protocolli preconfezionati.
Si tratta di stare accanto alle persone con problemi di salute, nel modo più supportivo e nelle forme più approfondite possibile.
Da tutti i punti di vista: scientifico certo, ma anche umano in senso lato. Stare accanto, esteso alle comunità familiari a cui le persone stesse appartengono. Una grande parte del prendersi cura è costituita da rapporti di integrazione, con persone, altri operatori, sistemi interni e altre organizzazioni. La “posizione”nel sistema, di chi assiste, dello “stare accanto”, è un luogo privilegiato per cogliere sia gli snodi critici che necessitano di miglioramento, come
anche i primi segni di esperienze assolutamente nuove che oggi, si stanno realizzando sotto i nostri occhi. Per tutti quindi, infermieri e non, riuscire a fare tesoro di questo osservatorio dovrebbe rappresentare un’opportunità, e dovrebbe diventare un impegno
approfondire la capacità di analizzare situazioni, problemi ed operatività per lavorare sempre verso il miglioramento del prendersi cura complessivo. Il nuovo e lo sconosciuto che costantemente si
presenta, obbliga a mettere assieme tutte le conoscenze e le capacità di qualunque natura per comprendere e risolvere i problemi.
Di fatto, siamo ancora qui a constatare una macroscopica arretratezza culturale sociale nelle capacità/disponibilità di risposta alle esigenze di un’assistenza nuova delle persone. Dov’è una reale analisi dei bisogni di assistenza, di oggi, e un adeguamento
delle risorse? Sono i numeri e i livelli formativi (specializzazioni risicatissime, talvolta ancora paramediche più che infermieristiche)
congruenti con richieste assistenziali complessive (delle persone, dell’operatività e delle organizzazioni) avanzatissime ed in costante evoluzione? Dov’è, in questa crisi economica che devasta le vite (e generata dall’individualismo senza sfreni e perfettamente legale!),
un riequilibrio della destinazione delle risorse (sempre in relativo calo per la sanità) su base demografica ed epidemiologica (aumento di anziani con polipatologie, ecc…)? … e ci fermiamo qui.
Illusorio pensare di bloccare lo sviluppo delle conoscenze e tecnologico che è giusto ed irrinunciabile. Ma quanti si
chiedono assistere, oggi, che cosa significa? Monitorare ed eliminare il dolore? E la sofferenza? Che cosa significa confort in situazione di criticità di vita, con decine di attrezzature che perforano il corpo? Garantire relazioni umane e ritmi di vita accettabili anche durante la malattia e non essere segregati? Garantire la libertà
di un’autonomia consapevole nelle scelte sulle proprie cure, del proprio modo di vivere il processo del morire o il finevita?
Anche qui ci fermiamo… Questo assistere è un interesse di questa
società. Ma la società non è nelle condizioni di rendersi conto, prima di essere purtroppo coinvolta singolarmente come persone,
che questo oggi è assistere. Tardi per decisioni politiche molto complesse. La sfida anche etica che ci sta di fronte è di quelle forti; tanto più in un contesto storico scarsamente si sostegno, forse
addirittura depressivo.
Lavorare a tutti i livelli per un’informazione diffusa che sia educativa sui temi di salute, malattia, vita e morte e sulla
consistenza dell’assistere. Scommettere sulla fiducia: apprezzare il
nuovo, le idee diverse, sicuri che la solidarietà e la cooperazione moltiplicano gli effetti di tutti i tipi di risorse disponibili. Gli infermieri sono questa possibile nuova risorsa di consapevolezza.
Ma per essere concreti, si deve guardare all’insieme delle persone, la società, ed alle sue regole di convivenza applicate.
Nessuna persona esiste da sola. Le forme della convivenza sono il risultato degli interessi reali delle persone che si confrontano
e decidono. Se noi infermieri guardiamo i fatti, sembra di percepire una sopportazione di questa società verso l’assistenza. Al di là del numero assoluto di infermieri assunto dalle strutture, delle notevoli
risorse, dei materiali ed attrezzature per l’assistenza, della struttura organizzativa con questa finalità, ecc… la nostra sensazione
finale è che, comunque, l’assistere sia nei fatti considerato un complemento relativamente secondario di un sistema che si autoalimenta. Un qualcosa, l’assistenza, che non si può non provvedere, visto che alle persone si deve badare quando si fa sanità e una forma di supporto a coloro che hanno problemi di salute si deve pur garantire... Una sorta quasi di fastidio da gestire.
L’importante, il celebrato, il preteso da tutti è l’ultima diagnostica, le tecnologie più avanzate, l’ultimo farmaco miracoloso,
il massimo sempre e subito insomma.
Certo, l’informazione pubblica su questi temi non aiuta, anzi, induce disinformazione ed illusioni. Né viene in soccorso il modello di società indicato in modo martellante con tutti i mezzi ed in tutte le
forme. L’ideale promosso è l’individualismo mentre la solidarietà è indirizzata agli idealisti illusi. L’assistere, di sua natura non fa parte del pensiero dominante, qui da noi. Logico che l’assistenza diventi un marginale complemento ad altro. Anche quando,
raramente, si riesce ad interloquire con chi dovrebbe comprendere che cosa concretamente è oggi assistere (perché vede tutti i giorni l’assistere e ne sfrutta i risultati in prima persona) il discorso in
breve si concentra altrove o semplicemente cade. Solitari illuminati si rendono conto e sono disponibili. Isole.
Esperienza quotidiana di tristi ma realistiche constatazioni, purtroppo. Assistere, “prendersi cura” è il riferimento degli infermieri. Non una serie di interventi (tra l’altro, sempre più sterminati) in base a procedure o protocolli preconfezionati.
Si tratta di stare accanto alle persone con problemi di salute, nel modo più supportivo e nelle forme più approfondite possibile.
Da tutti i punti di vista: scientifico certo, ma anche umano in senso lato. Stare accanto, esteso alle comunità familiari a cui le persone stesse appartengono. Una grande parte del prendersi cura è costituita da rapporti di integrazione, con persone, altri operatori, sistemi interni e altre organizzazioni. La “posizione”nel sistema, di chi assiste, dello “stare accanto”, è un luogo privilegiato per cogliere sia gli snodi critici che necessitano di miglioramento, come
anche i primi segni di esperienze assolutamente nuove che oggi, si stanno realizzando sotto i nostri occhi. Per tutti quindi, infermieri e non, riuscire a fare tesoro di questo osservatorio dovrebbe rappresentare un’opportunità, e dovrebbe diventare un impegno
approfondire la capacità di analizzare situazioni, problemi ed operatività per lavorare sempre verso il miglioramento del prendersi cura complessivo. Il nuovo e lo sconosciuto che costantemente si
presenta, obbliga a mettere assieme tutte le conoscenze e le capacità di qualunque natura per comprendere e risolvere i problemi.
Di fatto, siamo ancora qui a constatare una macroscopica arretratezza culturale sociale nelle capacità/disponibilità di risposta alle esigenze di un’assistenza nuova delle persone. Dov’è una reale analisi dei bisogni di assistenza, di oggi, e un adeguamento
delle risorse? Sono i numeri e i livelli formativi (specializzazioni risicatissime, talvolta ancora paramediche più che infermieristiche)
congruenti con richieste assistenziali complessive (delle persone, dell’operatività e delle organizzazioni) avanzatissime ed in costante evoluzione? Dov’è, in questa crisi economica che devasta le vite (e generata dall’individualismo senza sfreni e perfettamente legale!),
un riequilibrio della destinazione delle risorse (sempre in relativo calo per la sanità) su base demografica ed epidemiologica (aumento di anziani con polipatologie, ecc…)? … e ci fermiamo qui.
Illusorio pensare di bloccare lo sviluppo delle conoscenze e tecnologico che è giusto ed irrinunciabile. Ma quanti si
chiedono assistere, oggi, che cosa significa? Monitorare ed eliminare il dolore? E la sofferenza? Che cosa significa confort in situazione di criticità di vita, con decine di attrezzature che perforano il corpo? Garantire relazioni umane e ritmi di vita accettabili anche durante la malattia e non essere segregati? Garantire la libertà
di un’autonomia consapevole nelle scelte sulle proprie cure, del proprio modo di vivere il processo del morire o il finevita?
Anche qui ci fermiamo… Questo assistere è un interesse di questa
società. Ma la società non è nelle condizioni di rendersi conto, prima di essere purtroppo coinvolta singolarmente come persone,
che questo oggi è assistere. Tardi per decisioni politiche molto complesse. La sfida anche etica che ci sta di fronte è di quelle forti; tanto più in un contesto storico scarsamente si sostegno, forse
addirittura depressivo.
Lavorare a tutti i livelli per un’informazione diffusa che sia educativa sui temi di salute, malattia, vita e morte e sulla
consistenza dell’assistere. Scommettere sulla fiducia: apprezzare il
nuovo, le idee diverse, sicuri che la solidarietà e la cooperazione moltiplicano gli effetti di tutti i tipi di risorse disponibili. Gli infermieri sono questa possibile nuova risorsa di consapevolezza.